Giovedì 22 settembre Terra Madre Salone del Gusto entrerà nel vivo allietando con centinaia di appuntamenti, e per cinque giorni, il Parco Dora di Torino. Prima di darsi appuntamento lì, mi confronto ancora una volta con una figura di rilievo sul tema della rigenerazione. Il mio interlocutore è Telmo Pievani.
Filosofo ed evoluzionista, ricopre la prima cattedra italiana di filosofia delle scienze biologiche presso il dipartimento di biologia dell’Università di Padova.
Carlo Petrini: prima di entrare nel merito di questa nostra chiacchierata voglio ricordare uno dei tuoi maestri, con cui ho dialogato poco prima del decennale di Terra Madre nel 2014, ricavando anche in quella occasione un “Dialogo sulla Terra”. Sto parlando di Luigi Luca Cavalli-Sforza, genetista e scienziato italiano di fama mondiale che si è occupato in particolare della genetica delle popolazioni e delle loro migrazioni. Al centro del nostro scambio ci furono due elementi: il rapporto tra la scienza ufficiale, ovvero la ricerca con la R maiuscola, con i saperi pratici e tradizionali; e l’importanza della cucina, specialmente della cottura, come atto culturale che trasforma la natura e amplia le probabilità di sopravvivenza e le possibilità di evoluzione. Qual è la sua eredità più importante? E cosa pensi direbbe sul tema della rigenerazione; fil rouge di questa edizione di Terra Madre Salone del Gusto?
Telmo Pievani sarà presente a Terra Madre giovedì 22 settembre alle 21:00 nel dialogo Il clima scuote la tua anima? che lo vede protagonista insieme a Cristiano Godano.
Ogni popolo è un ramoscello unico nel grande albero della diversità umana
Telmo Pievani: Credo che due siano i lasciti maggiori di questo formidabile pioniere e uomo curioso: in primo luogo, aver capito l’unità nella molteplicità della storia umana, il fatto che ogni popolo è un ramoscello unico nel grande albero della diversità umana e che le radici di tutte le civiltà rimandano a una parentela comune, a quel gruppo fondatore africano che sessanta millenni fa migrò in tutto il mondo; e poi, grazie a lui sappiamo che evoluzione biologica ed evoluzione culturale si modificano a vicenda, come appunto vediamo nella cucina, che è una sintesi ideale di diversità biologiche e culturali. Dobbiamo ricordare Cavalli-Sforza anche perché oggi quelle diversità, sia biologiche sia culturali, sono o già distrutte o fortemente minacciate. Secondo me avrebbe risposto che rigenerare significa rivitalizzare questa matrice di unità e di pluralità della specie umana.
Carlo Petrini: Ed è proprio quello che cerchiamo di fare da quando è nato Slow Food più di 30 anni fa: l’elemento distintivo del nostro operato è stata la difesa della diversità in campo gastronomico. Dal punto di vista agroalimentare nell’ultimo mezzo secolo abbiamo perso qualcosa come il 70% di varietà di vegetali e razze animali. I motivi sono legati all’affermarsi di modi di produrre e distribuire che favoriscono l’omologazione. Questo fenomeno è ancora più evidente in un paese come l’Italia dove la biodiversità gastronomica è una delle più ricche al mondo, al punto che non possiamo affermare di avere una vera e propria cucina nazionale: la cucina italiana è frutto di sfaccettature che si realizzano nelle diverse regioni. E questo è un patrimonio straordinario che necessita di essere tutelato.
È così che abbiamo iniziato a lavorare sulla biodiversità che si stava perdendo, sia dal punto di vista delle materie prime, sia dal punto di vista del savoir faire e delle ricette. In questo modo siamo andati anche a ricucire il tessuto sociale che aveva generato questa diversità, e che è essenziale per garantirne la persistenza. Da questo assunto sono poi nati i nostri progetti più rappresentativi: i Presìdi e l’Arca Gusto (grazie alla diffusione della rete di Terra Madre in 150 paesi del mondo, oggi l’Arca conta con quasi 6000 prodotti censiti in virtù della minaccia di estinzione a cui sono sottoposti). Un lavoro che incide direttamente a livello culturale, produttivo, ma anche politico perché mette l’accento su un sistema alimentare più giusto.
Dobbiamo ricordare Cavalli-Sforza anche perché oggi quelle diversità, sia biologiche sia culturali, sono o già distrutte o fortemente minacciate. Secondo me avrebbe risposto che rigenerare significa rivitalizzare questa matrice di unità e di pluralità della specie umana.
Telmo Pievani
Biodiversità e diversità: una corrispondenza cruciale
Telmo Pievani: Pensiamo a questa corrispondenza cruciale. Ovunque nel mondo ci sia tanta biodiversità, c’è anche tanta diversità culturale, che si misura con la presenza di lingue, culture, dialetti, etnie, etc. È un caso? No. Prendiamo proprio l’Italia: le cause profonde che la fanno essere un hotspot di diversità biologica (avere un territorio irregolare con molte barriere geografiche, essere da sempre territorio di passaggio di popolazioni, avere decine di ecosistemi diversi da Tarvisio alla Sicilia) sono anche quelle che la rendono culturalmente così diversa. Camminiamo sopra un patrimonio unico al mondo di diversità a tutti i livelli: genetica, culturale, gastronomica, ambientale. Ci sono motivazioni profonde e sistemiche che rendono conto di fenomeni apparentemente molto lontani, come può essere il numero di piante e di animali di un paese e la ricchezza gastronomica.
In realtà c’è una connessione, anche difficile da rilevare. Come faccio allora a difendere un tratto di foresta dentro alla quale ci sono migliaia di specie? Né i santuari protetti, né tantomeno la ricetta cara ad alcuni economisti per cui i paesi ricchi comprano pezzi di foresta con la promessa di tenerla intatta per compensare le loro attività inquinanti, possono funzionare. Per proteggere quella biodiversità bisogna innanzitutto difendere i diritti dei popoli nativi che la abitano. Ovunque nel mondo ci sia tanta biodiversità, c’è anche tanta diversità culturale, che si misura con la presenza di lingue, culture, dialetti, etnie, etc. È un caso? No. Prendiamo proprio l’Italia: le cause profonde che la fanno essere un hotspot di diversità biologica (avere un territorio irregolare con molte barriere geografiche, essere da sempre territorio di passaggio di popolazioni, avere decine di ecosistemi diversi da Tarvisio alla Sicilia) sono anche quelle che la rendono culturalmente così diversa. Camminiamo sopra un patrimonio unico al mondo di diversità a tutti i livelli: genetica, culturale, gastronomica, ambientale. Servono strategie sistemiche e radicali per cambiare un modello di sviluppo e di consumo che ha causato la perdita di oltre un terzo della biodiversità marina e terrestre, portandoci a vivere la sesta estinzione di massa, la prima innescata da una specie sola, Homo sedicente sapiens.
Ovunque nel mondo ci sia tanta biodiversità, c’è anche tanta diversità culturale, che si misura con la presenza di lingue, culture, dialetti, etnie, etc. È un caso? No. Prendiamo proprio l’Italia: le cause profonde che la fanno essere un hotspot di diversità biologica sono anche quelle che la rendono culturalmente così diversa. Camminiamo sopra un patrimonio unico al mondo di diversità a tutti i livelli: genetica, culturale, gastronomica, ambientale.
Telmo Pievani
La strada la faranno gli ultimi
Carlo Petrini: Se viviamo la biodiversità in questa dimensione olistica che tu menzioni, perché tutto è connesso, allora può diventare l’elemento distintivo della battaglia politica planetaria di questo secolo. È lì che dobbiamo insistere. Nel momento in cui si perde la biodiversità, non solo di specie genetiche, ma anche culturale e spirituale, si genera una violenza che non possiamo accettare. Sarà molto importante avere la capacità di dialogare generando forme nuove di comprensione e di progresso, nel rispetto e nella considerazione che tutti noi dobbiamo avere per quella parte del consenso umano che storicamente è stata messa sempre dietro: le donne, i giovani, gli indigeni, gli anziani.
Perché, attenzione, quando Homo sapiens giungerà sul baratro, a quel punto, se è ancora un po’ sapiens dovrà girarsi. E chi è che farà la strada? La strada la faranno gli ultimi. D’altronde se ci pensiamo da secoli le donne hanno tramandato le tradizioni gastronomiche e sono state le garanti della sicurezza alimentare delle famiglie. Gli indigeni hanno portato avanti le loro attività nel rispetto della natura. Gli anziani sono custodi di sapienzialità e saggezza. E i giovani, più di ogni altra categoria, hanno diritto a vivere in un mondo salubre in futuro. Avere rispetto per questa componente umana diventa quindi imprescindibile anche nel contrasto alla perdita di biodiversità e al cambiamento climatico.
Perturbatori nati
Telmo Pievani: Homo sapiens è la specie prepotente, diceva Cavalli-Sforza. E siamo prepotenti anche gli uni nei confronti degli altri. Siamo dei perturbatori nati: dove arriviamo vogliamo cambiare le cose, in gergo tecnico siamo “costruttori di nicchia”. Noi abbiamo smesso di adattarci all’ambiente, ma lo trasformiamo per renderlo gradevole per i nostri fini, per esempio cuocendo il cibo. Questo è un modus operandi che nel tempo ha generato benessere (anche se a scapito di disuguaglianze crescenti). Oggi però c’è un problema di tempi: la velocità con cui stiamo distruggendo ambiente e biodiversità non ha precedenti nella storia evolutiva e non permette la rigenerazione. La deforestazione, le specie invasive, l’inquinamento, la caccia e la pesca indiscriminate, la crescita della popolazione e l’inurbamento sono tutte concause che ci mettono in serio pericolo.
A questo si aggiunge ora il cambiamento climatico, che di per sé rende il mondo più instabile. Se il problema è sistemico, anche le soluzioni dovranno esserlo. La biodiversità diventa quindi l’assicurazione sulla vita più importante su cui possiamo contare, perché più in un ambiente riduco la diversità, più diventa vulnerabile. Pensiamo a cosa è successo con il Covid-19, ma lo stesso si potrebbe dire per la peste suina o qualsiasi altra malattia infettiva: un agente patogeno, che è un maestro di evoluzione, se arriva e trova una popolazione omogenea dal punto di vista genetico fa danni gravissimi, perché colpito uno, colpito tutti. Il sesso, la diversità genetica, la ricombinazione genetica sono tutte strategie dell’evoluzione per controbattere a questo. La diversità ha un valore intrinseco, perché noi non abbiamo alcun diritto di interrompere la storia di vita di una specie e men che meno di distruggere una cultura nativa. Ma se proprio vogliamo trovarlo, c’è anche un motivo utilitaristico: più noi difendiamo la salute dell’ambiente, più difendiamo la nostra. Ecco un altro intreccio tra biologia e cultura.
Noi abbiamo smesso di adattarci all’ambiente, ma lo trasformiamo per renderlo gradevole per i nostri fini, per esempio cuocendo il cibo. Questo è un modus operandi che nel tempo ha generato benessere (anche se a scapito di disuguaglianze crescenti). Oggi però c’è un problema di tempi: la velocità con cui stiamo distruggendo ambiente e biodiversità non ha precedenti nella storia evolutiva e non permette la rigenerazione. La deforestazione, le specie invasive, l’inquinamento, la caccia e la pesca indiscriminate, la crescita della popolazione e l’inurbamento sono tutte concause che ci mettono in serio pericolo.
Telmo Pievani
Abbiamo bisogno di un ecologismo umanista
Carlo Petrini: Dunque, che cos’è per te rigenerazione?
Telmo Pievani: La natura è generazione, physis dicevano i greci. Gli ecosistemi con il tempo riescono a rigenerarsi. Alcuni organismi sanno rigenerare cellule e tessuti, noi molto poco. Ma noi dovremmo avere la cultura e la lungimiranza per restituire alla natura le sue capacità di rigenerazione, perché da quelle dipende anche la nostra rigenerazione. L’ecologismo integrale di cui abbiamo bisogno è un ecologismo umanista: gli interessi della natura, di cui facciamo parte ma che è più grande di noi, coincidono con i nostri.
Questo Dialogo sulla Terra è stato pubblicato su La Stampa del 19 settembre