Facciamo la scelta giusta! Verso un sistema alimentare più equo

24 Settembre 2022

Maggiori diritti, ma soprattutto una modalità di lavoro più etica per i rider. E non solo

Quante volte ti è capitato di ordinare da asporto nell’ultima settimana? E quante volte ti sei interrogata o interrogato sulla condizione lavorativa e salariale di chi ti consegna il pranzo o la cena? A Terra Madre Salone del Gusto ne abbiamo parlato con Rosita Rijtano, giornalista e autrice del libro Insubordinati. Inchiesta sui rider, durante un incontro dedicato ai sistemi alimentari.

Come ha raccontato Rosita Rijtano, la maggior parte dei rider ha un contratto di lavoro dipendente, ma viene retribuito sulla base delle consegne che riesce a portare a termine. Ovviamente più consegne fatto, più guadagnano.

L’inchiesta di Rosita Rijtano

«Li ho seguiti sul lavoro per un anno. È stata un’esperienza complessa e difficile, soprattutto perché ho provato a seguirli in bici. Sono poi passata al monopattino per non rallentarli e alla fine, per non far perdere loro tempo e quindi guadagno, li ho incontrati in un bar» ha spiegato Rosita Rijtano.

Non esiste una sociologia dei rider: sono lavoratori diversi ed eterogenei con una composizione che cambia di città in città. Al nord, ad esempio, sono numerosi i lavoratori stranieri, dato che tende a diminuire man mano che si scende al sud Italia. C’è un aspetto però che li accomuna, ovvero l’inquadramento contrattuale: vengono tutti pagati a consegna, non hanno diritti né assistenza sanitaria in caso di malattia e non hanno ferie. In Italia, in particolare, in molti casi non hanno neanche la copertura in caso di infortunio, quindi perdono il lavoro per il tempo necessario a «rimettersi a posto le ossa rotte».

Da sinistra: Emiliano Giovine, avvocato, responsabile del team ESG & Legal Impact, tra i soci fondatori dell’ong ResQ, Maria Panariello, campaigner dell’associazione Terra!, Rosita Rijtano, giornalista.

Cosa significa essere un rider?

Il lavoro dei rider ha un impatto devastante non solo sulla salute fisica, ma anche su quella psichica. Ad esempio, per evitare di ricevere recensioni negative da parte dei clienti, devono essere sempre brillanti e gentili. E come se non bastasse, sono continuamente monitorati tramite dei software installati sui loro telefoni che organizzano i turni e le consegne.

«Al momento – come sottolinea Rosita Rijtano – non esiste un’alternativa etica. L’unica scelta possibile sarebbe non ordinare affatto, ma le consegne a domicilio costituiscono una fetta importante di economia che diversamente verrebbe a mancare. E i primi a pagarne lo scotto sarebbero i lavoratori stessi che, senza consegne, non avrebbero guadagno. Esistono comunque alcune cooperative che assumono i rider e forniscono loro condizioni lavorative con un minimo di diritti riconosciuti».

In tutto questo, non c’è stata una risposta politica. E, nelle poche situazioni in cui è stato proposto un cambiamento, le aziende hanno ignorato gli appelli e hanno minacciato di abbandonare l’Italia pur di adeguare i contratti.

Cosa è cambiato negli ultimi due anni?

Con la pandemia si è registrato un boom nelle consegne a domicilio che sono diventate, per buona parte degli italiani, una consuetudine. Rosita Rijtano sottolinea quindi quanto sia importante trovare una alternativa sostenibile, sostenuta dalla politica.

«Su questi lavoratori sono state sperimentate modalità di lavoro che, poco per volta, vengono applicate anche ad altri settori. Come ad esempio l’esternalizzazione ai massimi livelli, la cosiddetta atomizzazione esterna del lavoro, ovvero l’ultima frontiera del capitalismo. È come se i rider fossero il banco di prova per un controllo delle prestazioni estremamente invasiva. Oggi la tecnologia è in grado di avere un livello di pervasività mai raggiunto prima. Le piattaforme che controllano le applicazioni dei rider possono controllare la posizione in ogni momento o il livello di batteria del loro telefono, pratiche tra l’altro illegali al di fuori dell’orario di lavoro».

Questo aspetto non è normato né in Italia né all’estero. È un campo di battaglia ancora aperto: la storia dei rider deve insegnarci che i diritti dei lavoratori, di qualunque settore, sono a rischio e devono essere salvaguardati. È quindi arrivato il momento di arginare questa situazione, affinché i diritti di tutti i lavoratori possano essere salvaguardati.

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