Per voi, una raffica di news dal 24 settembre, una giornata densissima di stimoli e incontri!
Che aspettate? Leggete il blog di Terra Madre!
Ecco il 24 settembre.
Ore 19:00: Presidio della Pesca dal buco incavato
La Bassa Romagna è conosciuta come la culla della frutticoltura moderna. Alla fine del XIX secolo questo territorio scopre la sua vocazione per la frutticoltura e proprio il piccolo centro di Massa Lombarda ne diviene il fulcro. Ed è in quest’area che si inizia a coltivare la Pesca dal buco incavato, le cui produzioni si allargano grazie a diversi produttori che ne capiscono l’importanza e le qualità. Nel secondo dopoguerra, tuttavia, questo tipo di produzione viene abbandonato a favore di altre tipologie di pesca più remunerative. La pesca dal buco incavato, quindi, pur avendo grandissime qualità organolettiche è stata completamente abbandonata. Negli anni ’60 solo lo 0,2% della produzione di pesche era di buco incavato. Qualche anno fa, a seguito di un progetto della Provincia di Ravenna che intendeva recuperare alcune varietà autoctone, sono state scoperte delle piante di Pesca dal buco incavato. Nel 2018 è stata riconosciuta come Presidio Slow Food.
Ore 18.30: dall’Arca del Gusto ai Presìdi : come salviamo la biodiversità
È stato presentato oggi a Terra Madre Salone del Gusto il Geoportale della Cultura Alimentare, promosso dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale (Ministero della Cultura) e finanziato dal PON (Programma Operativo Nazionale) Cultura e Sviluppo. A presentare il progetto, di cui Slow Food è partner, Leandro Ventura, Direttore dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale: «Obiettivo del progetto è la raccolta, produzione e divulgazione della cultura etnoantropologica legata al cibo. La collaborazione con Slow Food è fondata sul principio condiviso di tutela e valorizzazione del territorio attraverso le sue eredità immateriali alimentari quali saperi, memorie, know-how e tradizioni».
Ore 18:00: I custodi dei grani – la rete Slow Grains
Slow Grains è una rete di produttori e trasformatori che in tutto il mondo recuperano le varietà locali coltivandole. Trasformatori che lavorano le farine per realizzare pane, pasta e prodotti da forno. Agricoltori che custodiscono i semi, producono il grano in maniera sostenibile, macinano a pietra per produrre le loro farine.
Spiega Giuseppe Marotta, professore del Dipartimento di Diritto, Economia, Management dell’Università del Sannio Italia: «Le aree rurali sono un patrimonio ricco di risorse e biodiversità. Ma accusano ancora oggi un ritardo evolutivo e di sviluppo. Emerge la necessità di proporre un nuovo modello economico e rigenerativo. Le agricolture di questi territori non possono competere con i mercati internazionali e concorrenziali. Dobbiamo così dar vita a un mercato a livello locale, che si ispiri al concetto di territorio come spazio di produzione e contestualmente di acquisto e consumo. In un modello di questo tipo i produttori si organizzano innanzitutto per soddisfare le comunità locali, nonché quelle limitrofe. Allo stesso modo, i cittadini della comunità si impegnano ad acquistare i prodotti locali».
Occorre organizzare gli agricoltori in un soggetto cooperativo e/o consortile per gestire punti di vendita esclusivi che si contrappongono alla grande distribuzione organizzata. Tutti i protagonisti della filiera devono cooperare, co-progettare il valore che viene creato dalla forza di questo modello.
Continua Marotta: «Bisogna guardare al territorio come a un palcoscenico, dove tutti i soggetti del territorio recitano la propria parte, ma ciascuno recita lo stesso copione di valori condivisi. Un modello che si avvicina a quello che propone Slow Grains».
Il turismo è l’altra faccia di questo modello rigenerativo: far conoscere il cibo locale significa attrarre nuove persone nelle comunità. Non un turismo di massa, ma un turismo fatto di persone con una sensibilità improntata all’esperienza autentica e antropologica, volenterosi di assaporare un arricchimento e un benessere culturale e tradizionale.
Ore 17:30: Dalla Parte della Natura
Francesco Sottile ha presentato il suo ultimo libro Dalla parte della natura.
Dall’ultima Cop 26 emerge l’input di piantare mille miliardi di alberi, ma per una tale quantità ci vorrebbe il doppio della superfice agricola disponibile nel pianeta. La verità, invece, è che dobbiamo cambiare il nostro modo di consumare e produrre. Poi possiamo pensare di ricorrere agli alberi per mitigare le conseguenze delle emissioni clima alternati e – importante – dobbiamo chiederci quanti alberi piantiamo, dove, e se quegli alberi rispettano la biodiversità, perché un albero che è abituato a un determinato ambiente è più efficiente.
Per mitigare il cambiamento climatico non possiamo limitarci agli slogan. Noi oggi parliamo di rigenerazione, di rigenerazione del suolo. L’effetto primario dell’agricoltura industriale – compresa la zootecnia intensiva – è la perdita della fertilità del suolo. La produzione e consumo di carne fanno parte di questo ragionamento. Dobbiamo capire che carne stiamo consumando.
L’agroecologia è la risposta, perché è un processo che lentamente ma progressivamente ci permette di raggiungere un equilibrio tra essere umano e ambiente. Ed è un modello applicabile non solo alle produzioni di piccola scala, ma anche a dimensioni maggiori e grandi. Per questo non bisogna chiudersi nel mondo della piccola scala, dell’agroecologia, della nostra bolla di produzioni virtuose.
Ore 17: Io, tu, noi: quando insieme possiamo fare la differenza
Il controllo del sistema alimentare, dalla produzione dei semi a quella di fertilizzanti e pesticidi, dalla trasformazione alimentare alla vendita, è concentrato nelle mani di poche multinazionali. Come possiamo rigenerarlo grazie alle nostre scelte? Sul tema si sono confrontati Raj Patel, economista e studioso delle politiche alimentari, Rupa Marya, medico dell’Università della California, Michael Moss, vincitore del premio Pulitzer nel 2010, Bela Gil, attivista, scrittrice e presentatrice, moderati da Marco Tarquinio, direttore di Avvenire. Puoi rivedere il video completo della conferenza a questo link.
Ore 17.00: Resistenza e rigenerazione: vivere in Appennino dopo il terremoto
In questo incontro dedicato alla rigenerazione, le Marche raccontano attraverso la voce di alcuni produttori cosa significa vivere e resistere in un territorio colpito dal sisma. Tra gli interventi ad esempio quello di Giocondo Anzidei, Delegato Slow Food Marche: «La nostra terra così martoriata, ma altrettanto bella, è un dono che abbiamo avuto e che dobbiamo custodire. Le aree colpite subiscono un forte spopolamento e questo crea problemi che si ripercuoteranno sulla collina, sulla pianura e sul mare. È importante mantenere le comunità di questi territori perché sono custodi di luoghi, di paesi e di arte che altrimenti sono destinate a scomparire».
Marco Scolastici, Allevatore marchigiano dei Monti Sibillini, ha aggiunto: «Tante persone che si occupano di allevamento o lavorano nel settore zootecnico sono riuscite a trasformare il disagio del terremoto in un’opportunità grazie all’attenzione data al nostro territorio subito dopo il sisma. Ma ora la burocrazia non ci aiuta e accedere ai fondi del PNRR è utopico».
Vincenzo Maidani, presidente Slow Food Marche, ha poi aggiunto che è fondamentale tenere i riflettori puntati sulle zone colpite dal terremoto, per evitare di dimenticare. L’obiettivo ora è riportare le persone e le comunità nei territori di origine. La giornalista Barbara Olmai, ha invece toccato il tema della ricostruzione, continuamente ostacolata, sottolineando che sono ancora tantissime le persone che vivono in soluzioni abitative di emergenza. L’intervento di Federico Varazzi, vicepresidente Slow Food Italia, ha poi spiegato il percorso che sta portando avanti Slow Food Marche, facendo un focus sulla rigenerazione.
Ore 16:30: Presidiamo la legalità in Puglia: il caporalato pugliese da Foggia a Nardò
È intervenuto durante il laboratorio gastronomico e culturale organizzato dallo spazio Puglia Leonardo Palmisano, dirigente d’impresa, scrittore e autore di inchieste che presiede la società cooperativa Radici Future Produzioni :«Con la nostra cooperativa, che nasce in Valle d’Itria, lavoriamo a stretto contatto con i ragazzi che sono ancora dentro il circuito penale. In questo modo hanno l’occasione di confrontarsi con chi il caporalato lo ha combattuto e lo combatte ogni giorno. Non mancano poi i momenti di formazione nelle scuole, dove siamo felici di aver scoperto un rinnovato interesse per la terra e una crescente volontà di promuovere le realtà produttive che ne esaltano i frutti».
«Quale occasione migliore di Terra Madre per presentare il ricco bagaglio di biodiversità e di tradizioni della nostra Puglia» – ha continuato poi Felice Suma, referente dei Presìdi della regione. Protagonisti della degustazione erano infatti i nuovi Presìdi Slow Food: il pane di Monte Sant’Angelo, la focaccia a libro di Sammichele, il colombino di manduria e il confetto riccio di Francavilla, in abbinamento ai vini di Hiso Telaray, l’anima vitivinicola di Libera Terra in Puglia.
«Per noi Slow food è un punto di riferimento morale in cui convivono imprese virtuose » ha concluso Palmisano. «E qui a Terra Madre troviamo l’Italia più bella, che lotta insieme a noi per dare ai braccianti un futuro migliore».
Ore 15:30: Insieme alle comunità Slow Food in Ucraina
Oggi sono esattamente 7 mesi dall’inizio della guerra in Ucraina. Era il 24 febbraio. La delegazione ucraina a Terra Madre conta circa 20 delegati e molti appuntamenti in calendario.
Yuliia Pitenko è coordinatrice di Slow Food in Ucraina. «Lo stand di Slow Food Ucraina è la continuazione logica della campagna di solidarietà che si è attivata. Il 24 febbraio è stato uno shock totale, un tragico dramma. Sui produttori, la guerra ha avuto conseguenze pesanti soprattutto per gli allevatori. Abbiamo corso il rischio di perdere per sempre le nostre razze animali. Con Slow Food ho vissuto momenti tragici e drammatici, ma al tempo stesso si è attivata una grande rete di solidarietà. La campagna di solidarietà ha raccolto circa 45.000 euro, consentendo di salvare razze, culture e tradizioni».
Katerina Tarasenko è allevatrice e produttrice di formaggi della Transcarpazia. «Noi tutti produttori siamo molto uniti. Lo stato non dà contributi al settore agricolo. Io, nel mio locale, do aiuto a una sessantina di persone, tra cui 22 bambini, persone anziane, mamme con i bambini. Ho accolto molte persone bisognose di aiuto, che spesso arrivano con niente, solo i documenti. Grazie, quindi per il sostegno che ci date, perché ne abbiamo bisogno. Per sopravvivere, e per ricostruire il nostro paese».
Marcello Longo, con Slow Food Puglia, è tra i tanti che hanno contribuito ad aiutare l’Ucraina: «Come Puglia, partecipiamo al dramma dei nostri amici e fratelli. Vogliamo mostrare la nostra vicinanza. Lo sentiamo come un obbligo morale. Tutto qui. Semplicemente». Vi diamo appuntamento con la presentazione dei prodotti dell’Arca del Gusto in Ucraina. Tutte le info le trovate qui.
Ore 15:00: Olivo pianta di civiltà
La diffusione dell’olivo è legata al lavoro di generazioni che hanno selezionato cultivar, plasmato paesaggi, messo a punto tecniche per la trasformazione delle olive e la produzione di olio extravergine.
Ad aprire l’incontro è stato Alen Mevlat, produttore di olio extravergine e attivista per la salvaguardia della biodiversità olivicola dell’Egeo, in Turchia. Ha raccontato che sono più di 1200 le varietà di olive nel mondo e di queste solo il 10% costituisce l’80% della produzione. Si stima che il 30% del raccolto annuale sia di olive da tavola, un frutto fondamentale per la dieta mediterranea e molto importante per la cultura turca. Vengono, ad esempio, trattate con sale marino e fermentate con l’intero picciuolo. Di queste, tante arrivano da Mar Nero.
Alessandro Gilotti è un produttore di olio extravergine Presidio Slow Food dell’azienda agricola Passo della Palomba, a Todi in Umbria. Qualche anno fa ha iniziato a recuperare vecchi ulivi, riscoprendo un incredibile patrimonio di biodiversità e rendendosi conto che l’abbandono dei terreni ha portato anche all’abbandono dei ruscelli, creando diversi problemi a valle. Non potendo competere con le grandi realtà commerciali, hanno creato un sistema di olio turismo con l’esperienza Slow Food Fundamental Knowledge of Olive Oil, portando i consumatori direttamente nella loro azienda, dove viene usata energia rinnovabile e dove non si butta via niente.
Arriva dalla Palestina Saad Dagher, produttore di olio, agronomo umanista, considerato il padre dell’agroecologia nel suo Paese e portavoce della comunità slow food “Olives in Mazari Nubani” a Ramallah, nei territori occupati. L’olio di oliva è considerato l’oro del contadino palestinese ed è presente in ogni pasto, mentre la pianta, una volta cessata la produzione, viene impiegata per costruire le case, riscaldare gli ambienti, produrre il sapone. Spesso le persone donavano il loro olio per avere risorse per costruire le scuole, le case, le strade oppure aspettavano la stagione della raccolta per far sposare i figli o mandarli all’università. Al momento anche in Palestina l’olivo patisce una grande sofferenza a causa dell’agricoltura intensiva che indebolisce le piante.
È intervenuta poi Elena Parrillo di Nata Terra, il progetto della cooperativa sociale Osiride che gestisce beni confiscati alla camorra, raccontando la loro esperienza tra Lazio e Campania.
A chiudere l’incontro è stato Francesco Sottile, membro del board di Slow Food Internazionale, che ha sottolineato quanto l’ulivo sia una pianta generosa, capace di regalare frutti anche in situazioni critiche.
Ore 15:00: Un telefono, un minuto, un film
A scuola di cinema con il progetto CINE – Cinema Communities for Innovation, Networks and Environment
Due interessanti workshops si sono tenuti presso l’area Giovani Turismo Agricoltura: guidati dal @Mobile Film Festival, concorso nato in Francia nel 2005, i due appuntamenti hanno visto studenti, giovani attivisti, delegati indigeni e professionisti del settore mettersi alla prova sui temi di Terra Madre 2022.
Al centro della formazione la cinematografia e il modo in cui può aiutare a condividere messaggi importanti sull’ambiente, i problemi del sistema alimentare e le loro conseguenze sociali.
“I particolari fanno la differenza: – ha spiegato Bruno Smadja, direttore del Mobile Film Festival – dalla musica all’inquadratura, tutto può rendere un film di un minuto indimenticabile. Bastano un’idea, un minuto e un telefono per esprimere grandi cose”
Al primo workshop, frequentato dal Liceo Gioberti e dal Liceo Mazzarello di Torino, i ragazzi hanno dimostrato che può essere vero. I cortometraggi girati durante i primi due giorni di evento sono risultati emozionanti e divertenti allo stesso tempo. Il mandato era “Racconta la tua Terra Madre, diventa reporter per un giorno”. Ecco uno dei più belli, I colori del sorriso.
Durante il secondo appuntamento, rivolto alle comunità indigene presenti a Terra Madre invece, Smadja ha proposto una carrellata di cortometraggi dall’edizione del Mobile Film Festival dal titolo Making Peace with Nature, fornendo utili consigli ai partecipanti su come girare e comporre video interessanti partendo da uno smartphone e poter dare quindi voce alle proprie idee, campagne e visioni.
Il progetto CINE promuove il cinema nelle comunità in cui le sale non esistono o stanno scomparendo, puntando sulla loro capacità di essere luoghi di aggregazione culturale e sociale e di gettare i semi della cultura ambientale e alimentare tra le giovani generazioni. Nell’ambito delle attività, il Mobile Film Festival ha il compito di trovare modi per coinvolgere i giovani, riportarli nelle sale cinematografiche e formarli alla creazione di veri e propri film.
I workshops sono stati realizzati nell’ambito del progetto CINE – Cinema Communities for Innovation, Networks and Environment, finanziato dall’Unione Europea, con il contributo della Fondazione CRC, e coordinato da Slow Food. I partner del progetto sono il Mobile Film Festival francese, l’associazione croata Kinookus e, in Italia, l’Associazione CinemAmbiente, il Cinema Boaro di Ivrea (provincia di Torino), il Cinema Vittoria di Bra (provincia di Cuneo) e la Città di Cherasco (provincia di Cuneo).
Ore 14:30 Passato, presente e futuro: il sogno condiviso del Forno Brisa
La rivoluzione parte da un chicco. È la storia di Forno Brisa, progetto nato 8 anni dall’impasto di creatività, genio e inarrestabile ottimismo di Pasquale Polito e David Sarti che si incontrano all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Fare il pane è solo l’inizio di una avventura in crescendo che riguarda successivamente anche caffè e cioccolato.
Alleanza, struttura reticolare, collaborazione con i produttori di materie prime: questi sono i concetti che emergono dalla lunga e appassionata chiacchierata di Pasquale Polito oggi, allo stand dell’UNISG, con un folto pubblico partecipe e attento.
Oggi in questa realtà così giovane lavorano 40 persone, con quattro store a Bologna, e una rete di soci investitori che ha scelto di condividere la filosofia di Forno Brisa, e tramite il crowdfunding, di far crescere il progetto grazie ad un approccio nuovo, rivoluzionario e partecipativo.
La filiera del pane, prodotto da farine di grani di varietà locali e autoctone, diventa il modello per la produzione del caffè, prima, e del cioccolato poi, grazie alla collaborazione con l’organizzazione Seven Elements. Rapporto diretto con i produttori in America Latina, rispetto e tutela del loro lavoro per una giusta remunerazione.
«Lavorare a Forno Brisa è una scelta reciproca » spiega Polito, riferendosi alla modalità di reclutamento dei collaboratori.
E alla domanda dal pubblico su quale sia per lui la minaccia più grande del fare impresa oggi, risponde:« La sfiducia. La crisi economica si affronta, l’aumento del costo dell’energia si affronta, ma la sfiducia no».
Il cambiamento, però, secondo la filosofia di Forno Brisa, è fatto di piccoli gesti rivoluzionari quotidiani e nel fare rete con chi ha la stessa sensibilità e condivide gli stessi valori. E visti i risultati ottenuti, come dargli torto?
Ore 13:30: Il Pane dell’Alleanza
Pane e lieviti madre sono stati i protagonisti del Pane dell’Alleanza, un appuntamento del programma dalla Regione Basilicata focalizzato sul tema della Rigenerazione.
Racconta Serenella Gagliardi, CER Slow Food Basilicata: «Quando in veste di Slow Food Basilicata abbiamo immaginato quest’iniziativa, ci è venuto spontaneo pensare alla diversità microbica, al sapore dei territori. Nel pane risiede il senso delle prospettive future, è un prodotto che racconta la storia dell’uomo. Oltre a rappresentare un simbolo di Rigenerazione: rigenerazione come forza di trasformazione profonda che non recide il legame con le radici; come valore di differenziazione e di crescita. Il Pane dell’Alleanza è un’iniziativa nata in Basilicata, ma è l’unione dei leviti di tutta la rete Slow Food che ne ha dato la vita. È il pane di tutti».
Emilia Piemontese, Dirigente Generale Politiche Agricole, Regione Basilicata, ha aggiunto che il Pane dell’Alleanza è un’iniziativa dal forte significato simbolico, esprime la volontà di recuperare e consolidare valori di solidarietà e comunione.
Ore 13:30 Tutti a scuola… di pastorizia
Continuano gli appuntamenti formativi nello spazio Giovani, Turismo e Agricoltura. In questo incontro si approfondisce il progetto della Scuola Nazionale di Pastorizia (SNAP), che aspira a fornire elementi di formazione, informazione, innovazione e dialogo. L’abbandono delle aree interne va di pari passo alla scomparsa di mestieri tradizionali come quello del pastore, eppure efficaci per mantenere e preservare la biodiversità dei territori. Se ne è parlato con Luca Battaglini, professore ordinario all’Università degli Studi di Torino: “Investire oggi i pastori del ruolo di interpreti culturali dei paesaggi montani può contribuire a creare una condizione favorevole per la costruzione di scenari possibili e sostenibili di sviluppo territoriale”. E ancora con Francesco Di Meglio della cooperativa Nemo, che funge da supporto tecnico al progetto: “abbiamo bisogno di mandare messaggi chiari e socialmente efficaci, perché l’attività del pastore è pioniera per i territori e questa figura è un indicatore di biodiversità per i territori”. Una delle primissime sedi del progetto è la Valle Stura, dove partirà a breve una scuola di pastorizia.
Ore 11:30: La certificazione partecipata: un modello alternativo di certificazione comunitaria
Come si può certificare un prodotto buono, pulito e giusto senza ricorrere a enti terzi? È la domanda che molti produttori della rete Slow Food negli anni hanno iniziato a porsi. E così, dal 2018 a oggi, la risposta è stata i sistemi di garanzia partecipata. Ma cosa sono e come funzionano? Oggi a Terra Madre Salone del Gusto abbiamo provato a discuterne insieme a chi ci lavora ogni giorno, dai produttori alle organizzazioni internazionali.
I primi a occuparsene sono stati gli amici di Ifoam (Federazione Internazionale dei Movimenti per l’Agricoltura Biologica), già nel 2008. «I Sistemi di garanzia partecipata si basano su una partecipazione attiva di tutti gli stakeholder (produttori, consumatori, organizzazioni,…) e sono fondati su fiducia, interdipendenza e scambi di conoscenze. Era necessario riconciliare tutta una serie di iniziative di certificazioni alternative che già esistevano e così è iniziato il nostro percorso». A parlarne è Flavia Moura e Castro, Senior Organic Policy and Guarantee Coordinator. Si tratta infatti di modelli di garanzia della qualità dei prodotti in base ai quali la comunità locale vigila collettivamente sul rispetto di standard produttivi condivisi e che «permette di dare alle comunità locali uno strumento per avere un ruolo nei processi nazionali e internazionali», fa eco Rissa Edoo, dell’Undp Fao Mountain Partnership partner di Slow Food in questo percorso.
Slow Food ha iniziato a entrare in questo mondo attraverso il progetto dei Presìdi nel 2018. Ci si chiedeva infatti come fosse possibile certificare prodotti buoni, puliti e giusti senza poter avere accesso alle risorse economiche necessarie per ottenere le certificazioni terze. Il consumatore deve sapere che i prodotti provenienti dalle filiere locali e familiari sono anch’essi buoni, ma come? E così oggi è arrivato al progetto della Slow Food Coffee Coalition che, proprio a Terra Madre, presenta sei caffè da cinque comunità certificati con il sistema della Pgs e con il marchio di Slow Food. Ancora più ambizioso poi il tentativo di applicare il sistema non solo al prodotto ma a un progetto stesso come il Mercato della Terra di Cracovia, in Polonia.
Formazione, rappresentazione, assistenza tecnica, sostentamento economico sono i concetti chiave più forti emersi dalle parole dei piccoli produttori che hanno portato la loro esperienza oggi, orgogliosi di poterla condividere con persone arrivate da tutto il mondo. Da Nepal, Lesotho, Ruanda e Guatemala, le voci che arrivano parlano tutte la stessa lingua. «Stiamo cercando di lavorare su prodotti come lo zenzero e la curcuma» racconta Krishna Pokharel dal Nepal. «Si tratta di un sistema molto semplice per le comunità e che consente loro di beneficiare di strumenti di formazione». In Lesotho invece hanno appena iniziato il percorso, lavorando sul sorgo e sui legumi. «La certificazione ci permette di raccontare al consumatore come si è svolto il nostro lavoro e ci permette di coinvolgere tutti gli attori della filiera. Tutti comprendono di far parte di questo sistema e si rispettano standard di qualità condivisa», conclude Mirriam Moteane. Incrementare la resilienza delle comunità locali è quanto sottolinea anche Joel Byiringiro dal Ruanda che lavora insieme a quattro cooperative.
«Arrivare qui a presentare il nostro progetto è un sogno», dice Olga dal Guatemala. «Abbiamo iniziato in tre, ora sono 30 le produttrici di caffè che lavorano nella comunità e che si certificano attraverso questo sistema. Non avremmo mai potuto aver accesso alle certificazioni di enti terzi e avevamo perso le speranze, nessuno voleva ascoltare perché siamo donne. Così ci siamo riunite tra di noi e abbiamo lavorato per poter avere accesso al mercato. Oggi con il nostro lavoro siamo riuscite a mantenerci e a sostenere il lavoro dei nostri figli». Simile l’esperienza di Stephany Escamilla con la Slow Food Coffee Coalition in Messico. «Lavoriamo con i produttori da 12 anni e il primo passo è stato dare ai produttori uno stimolo, la visione di una sostenibilità economica delle loro produzioni. Non sono processi facili, non sono processi veloci ma sono gli unici strumenti possibili per le filiere di piccola scala. Qualità, trasparenza e tracciabilità sono state le nostre linee guida e dalla vendita siamo passati al miglioramento della qualità. Abbiamo ampliato il numero di produttori, creato una rete di torrefazioni interessate a supportare i produttori in questo processo di miglioramento continuo, organizzato formazioni e creato strumenti di controllo e monitoraggio. Non è un percorso veloce e semplice, ma sicuramente è l’unico per noi possibile».
Molte sono le complessità e lungo ancora il percorso ma grande l’interesse. Ci vuole pazienza, ci vuole tempo ma il fatto di lavorare insieme a organizzazioni internazionali e di essere qui insieme a discuterne dà speranza e ci fa piacere di continuare lungo questa strada.
Ore 11:30: NaturaSì, Slow Food e Banca Etica insieme per una finanza rigenerativa
È stato presentato oggi a Torino il nuovo prestito obbligazionario promosso da NaturaSì in collaborazione con Banca Etica in occasione dell’incontro E se l’economia fosse al servizio della Terra? a cui hanno partecipato Leonardo Becchetti, economista e direttore scientifico della rete Next Nuova Economia Per Tutti, Fabio Brescacin, presidente di NaturaSì, Nazzareno Gabrielli, direttore generale di Banca Etica, e Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia. A moderare l’incontro la giornalista di Radio 24, Rosanna Magnano.
Il progetto innovativo per il biologico di NaturaSì, che rientra in quella che viene definita economia generativa, prevede l’emissione di un prestito obbligazionario di 10 milioni di euro con un tasso di interesse netto del 3% annuo, remunerato in buoni spesa, per diventare consapevoli che il denaro può trasformarsi in cibo attraverso progetti di sviluppo dell’agricoltura biologica e biodinamica. Le somme raccolte con il prestito obbligazionario saranno impiegate da NaturaSì per sostenere le aziende agricole e quelle di trasformazione nel migliorare le proprie strutture e fare investimenti a medio termine. Una parte del prestito verrà destinata alla ricerca e alla formazione di agricoltori, oltre ad accompagnare i più giovani a svolgere la propria attività nell’ambito dell’agricoltura biologica.
«Noi viviamo di pane, non di denaro ed è necessario generare consapevolezza sulle scelte che facciamo quando riempiamo il carrello della spesa e quando dobbiamo gestire i nostri risparmi. Gli ultimi eventi geopolitici e finanziari ci stanno chiamando ad occuparci oggi del nostro cibo di domani, affidando consapevolmente ad agricoltori virtuosi almeno una piccola parte dei nostri risparmi», ha commentato Fabio Brescacin, presidente di NaturaSì. Ha poi aggiunto Nazzareno Gabrielli, direttore generale di Banca Etica: «Ci sembra un modo molto concreto per rendere tangibile la reale finalità degli strumenti finanziari: mettere al centro non la dimensione finanziaria fine a sé stessa, ma quella dell’economia reale e, in questo caso, la produzione agricola che garantisce un futuro migliore alle persone e al pianeta». Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia, ha posto l’accento sul settore economico finanziario: «Anche l’economia e la finanza, così resistenti al cambiamento, dovranno fare i conti col futuro: incentivare le capacità di ciascuno affinché a tutti sia data la possibilità di un pieno sviluppo delle proprie potenzialità, abilità e aspirazioni. Il paradigma che applichiamo al cibo, buono pulito e giusto per tutti, può applicarsi a ogni aspetto della vita umana».
Ore 10:30 la rigenerazione delle periferie attraverso
Nello spazio Giovani, Turismo e Agricoltura si è parlato di rigenerazione delle periferie e nuove prospettive per i giovani di aree marginali della città, dove la rigenerazione si realizza non solo a livello urbano, ma anche sociale e culturale.
Ne è esempio il progetto AuroraFood, che mette al centro della riqualificazione del quartiere Aurora di Torino la multiculturalità e la contaminazione gastronomica, offrendo ai giovani del territorio con background migratorio la possibilità di costruirsi nuove opportunità di lavoro. Migliorando, al contempo, la percezione del quartiere Aurora.
Lo ha raccontato Amer Al-Taie, mediatore gastronomico torinese nativo dell’Iraq, in un dialogo con l’Assessore all’Istruzione, periferie e progetti di rigenerazione urbana, Politiche educative e giovanili della Città di Torino.