Il blog di Terra Madre #25 settembre

25 Settembre 2022

Per voi, una valanga di news dal 25 settembre, una giornata densissima di stimoli e incontri!

Che aspettate? Leggete il blog di Terra Madre!

Ecco il 25 settembre.

Ore 19: Dietro i formaggi (e i mieli) più buoni c’è un prato stabile

Miele e formaggio sono due campi gastronomici in cui i prati stabili apportano varietà e riconoscibilità ai prodotti. Le diverse specie animali produttrici trasmettono gli aromi e le caratteristiche delle erbe direttamente nel prodotto finito. Questo laboratorio ci ha dato la possibilità di testare l’abbinamento tra 4 mieli e 6 formaggi: due fontine, molto diverse, ci hanno fatto capire quanto un prato possa cambiare anche a poca distanza, poi il trentingrana di alpeggio Presidio Slow Food, un caciocavallo, un pecorino semicotto marchigiano e per finire il fiore sardo. I mieli provengono tutti da prati diversi: c’è il siciliano ricco e caldo, il sardo pungente e quasi acido, il trentino che ricorda il carciofo e infine il marchigiano delicato e fine. Mentre i formaggi sono pensati lungo una scala ascendente di intensità, i mieli sono più versatili. La sfida sta nel trovare quale abbinamento si sposa di più. Il paradigma del territorio, ovvero a formaggio di una certa regione si abbina un miele della stessa, funziona nella maggior parte dei casi. Non senza eccezioni però: infatti a entrambe le fontine si riscontra essere molto adatto il miele siciliano. Lo scopo non è stato trovare i migliori abbinamenti assoluti, quanto apprezzare la biodiversità che trasmettono questi prodotti. Poi un invito a non servire più il miele sopra il formaggio, costringendo l’abbinamento, ma separarli per permettere di ripetere questo esperimento ancora e ancora.

Ore 18: I Mercati della Terra fanno rete 

Non solo spazi commerciali, ma soprattutto luoghi di incontro e scambio, dove le distanze si annullano: il progetto dei Mercati della Terra di Slow Food sta prendendo sempre più spazio in numerosi Paesi nel mondo, creando nuovi legami e nuovi progetti di successo dedicati alla rigenerazione. Durante questo incontro, abbiamo ascoltato le storie di cinque mercati, dall’Australia alla Slovacchia, dalle Filippine all’Uganda, passando per la Colombia

Amorelle Dempster, responsabile Slow Food e coordinatore del Mercato della Terra Slow Food di Maitland, ha promosso il primo e, per ora, unico Mercato della Terra in Australia che ha assunto un significato particolare. L’Australia, infatti, esporta la maggior parte dei cibi prodotti e le coltivazioni sono principalmente monocolture. Nella zona di Amorelle, ad esempio, gli agricoltori erano solamente tre e coltivavano cinque prodotti in totale. Nel 2016 ha aiutato i coltivatori locali durante una grave inondazione che ha compromesso la maggior parte del raccolto: ha messo in piedi un mercato e sono state vendute 350 zucche in un’ora. Questo è stato di stimolo per riscoprire la biodiversità e passare da cinque a quaranta varietà coltivate nella zona, di cui la maggior parte antiche, creando biodiversità e un nuovo sistema alimentare. 

Arriva dalla Colombia Yurany Lopez, coordinatrice del Mercato della Terra di Bogotà. Grazie al mercato, visto come uno spazio multiculturale, è stato dato valore alle comunità indigene, a quelle del Pacifico colombiano e a tutte quelle popolazioni che hanno vissuto oltre cinquant’anni di guerra. Questi territori, in particolare, sono terreni fertili e ricchi di biodiversità e il Mercato della Terra vuole essere una vetrina per raccontare prodotti, storie, comunità, coltivatori. La Colombia, infatti, è ricca di frutti e vegetali che neanche gli stessi colombiani conoscono. Diventa quindi fondamentale creare una rete per dare il giusto spazio a questa ricchezza. Il mercato di Bogotà è composto da 25 produttori circa e ha uno spazio chiamato Tavolo Biodiverso, dove avvengono le interazioni tra coltivatori e clienti. 

Coordinatore di tre mercati, John Kiwagalo è responsabile di progetto di Slow Food Uganda per i Mercati della Terra. Il primo è nato nel 2015 nel distretto di Kampala, mentre gli altri due sono nati entrambi nel 2017. In questo territorio i produttori non avevano modo di vendere i propri prodotti perché molti prodotti ugandesi sono destinati al mercato estero e tanti sono ignorati dai consumatori perché poco accessibili. Questo succede principalmente con i prodotti indigeni. Il primo Mercato della Terra in Uganda è nato, quindi, dalla richiesta della comunità e viene organizzato nei municipi locali per è necessario far capire ai governi l’importanza di un sistema alimentare basato sui coltivatori diretti e non solamente sull’industrializzazione. I mercati sono il luogo in cui migliorare l’alimentazione delle persone, fare attivismo e creare nuovi contatti tra le comunità. 

È poi intervenuto Andrew Penalosa, rappresentante della Comunità Slow Food dell’Isola di Negros e dei Mercati della Terra pop-up nelle Filippine. Inizialmente hanno creato dei piccoli mercati per stabilire un primo contatto e un’interazione educativa tra produttori e consumatori per far conoscere il cibo tradizionale dell’isola. Negli anni infatti sono stati dimenticati e con loro è stato dimenticato anche il modo di utilizzarli. Si sono quindi avvicinati alle comunità indigene che hanno riportato alla memoria antiche varietà e hanno insegnato ai coltivatori come utilizzarle. Questo ha portato alla pubblicazione di un libro di ricette preparate esclusivamente con le materie prime dimenticate. Di queste, numerose sono presenti nell’Arca del Gusto Slow Food e 25 sono pronte per essere inserite a catalogo. 

A chiudere l’incontro sono state Monika Slizikova e Magdalena Sandrikova del Mercato della Terra Slow Food Batovce in Slovacchia. Hanno raccontato che gli agricoltori hanno avuto, a causa del regime comunista, diversi problemi di accesso alla coltivazione della terra. Negli ultimi trent’anni però il sistema è cambiato, il prossimo passo sarà quello di convincere il governo a fornire aiuti ai piccoli produttori. La maggior parte delle coltivazioni infatti sono destinate alla produzione di carburanti. Per contrastare tutto questo hanno messo insieme un gruppo di agricoltori che coltivano frutta e verdura, riunendoli poi nel primo Mercato della Terra nato nel 2019. In soli tre anni sono passati da dieci a trenta produttori, ampliando anche la gamma di prodotti. La loro intenzione per il futuro è di lavorare con i clienti e insegnare loro a non comprare il cibo nei mercati industriali e guardare invece al cibo prodotto su piccola scala, molto più salutare. 

Ore 16: Fondata a Pollenzo l’International Society for Gastronomic Sciences and Studies

Si è concluso oggi il Simposio volto alla creazione della prima Società Internazionale di Scienze e Studi Gastronomici, che ha visto alternarsi i lavori nel corso di una tre giorni tra Pollenzo e Torino, facendo incontrare e dialogare docenti, studiosi e ricercatori da numerose università italiane e internazionali. Al centro della simbolica fotografia di gruppo scattata nell’aula magna della Cavallerizza ci sono i rettori dell’UNISG Bartolomeo Biolatti e dell’UNITO Stefano Geuna a fianco di Carlo Petrini, a propiziare l’unione tra saperi accademici e società civile.

Oltre 200 partecipanti iscritti ai lavori, in rappresentanza di 75 università, 7 aree tematiche affrontate, 87 membri del comitato scientifico, 124 relatori che hanno inviato interventi, 107 presentazioni orali in presenza, 27 poster di tematiche di ricerca.

L’unione di questo momento di studio e confronto con il grande ritorno in presenza di Terra Madre Salone del Gusto 2022 ha davvero favorito l’interazione tra differenti voci e ambiti disciplinari. Ne è un esempio l’Inspirational Commitee, composto da Fritjof Capra, Gary P. Nahban, Nancy Turner, Chido Govera e Satish Kumar.

Le sette aree tematiche sono state incentrate su: Food & One Health, Food Perception and Education, Traditional Ecological Knowledge and Food Heritage, Food History, Mobilities, and Sovereignty, Sustainable Food for People: Acceptability, Inclusivity and Co-creation, Climate Change, Agroecology, and Ecological Transition, Food Justice, Policies and Regulations.

La sessione conclusiva del Simposio ha condotto ad una considerazione condivisa sull’importanza dell’interdisciplinarietà e dell’andare oltre i confini dell’accademia. Insomma, l’abbandono di un eurocentrismo accademico e occidentale, per abbracciare una visione di comunità ampia e aperta all’ascolto.

Carlo Petrini, infine, ha lanciato la sfida più grande con il suo appello carismatico e visionario a riunire rappresentanze di tutte le università del mondo nel 2025 a Parigi, in occasione del bicentenario della pubblicazione della pietra fondante della scienza gastronomica, ossia La Fisiologia del gusto di Anthelme Brillat-Savarin.

Ed ora dunque al lavoro per il prossimo appuntamento per la neonata International Society for Gastronomic Sciences and Studies!

Ore 16: Transizione proteica: i legumi salveranno il mondo

Riccardo Randello, agronomo e produttore legumi: «L’Italia è tra i principali produttori di legumi dell’Unione Europea, anche se la loro coltivazione si è ridotta di oltre l’80% a partire dagli anni ’60. Cosa possiamo fare a tal proposito? Sicuramente continuare a supportare i nostri produttori e cercare di portare sulle nostre tavole prodotti Made in Italy».

Roberta Billitteri, vicepresidente Slow Food: «A Terra Madre, a proposito di rigenerazione, possiamo restare stupiti rispetto all’offerta estremamente varia delle tipologie di legumi presenti. Dobbiamo continuare a impegnarci nella salvaguardia di questi prodotti. Ognuno deve dare il proprio contributo, dai produttori fino ai consumatori».

Ore 15: Agroecologia: giovani e buone pratiche dal mondo per salvare il pianeta

L’agroecologia è una pratica agricola, una scienza olistica interdisciplinare basata sulle conoscenze contadine e indigene, nonché un movimento fondato sulla lotta per la sovranità alimentare dei popoli. Scegliere di adottare un approccio agroecologico significa contribuire alla nascita di modelli alimentari equi e sostenibili.

Gabriel Dvoskin, vignaiolo, coltiva seguendo il metodo biodinamico nell’azienda agricola biologica Canopus Vinos, in uno degli angoli più freddi della Valle de Uco, Mendoza, Argentina: «Lavoriamo con metodo biodinamico: teniamo conto di un calendario che ci permette di ottimizzare le forze cosmiche al servizio del lavoro agricolo. Evitiamo le monocolture puntando alla creazione di catene microbiologiche, valorizzando la biodiversità.

Matías Bertone, presidente della Cooperativa Agrícola Monte Nativa, adotta pratiche di agricoltura sintropica a El Soberbio, Misiones, Argentina: «Adottiamo un approccio chiamato agricoltura sintropica: una tecnica agroforestale che si traduce in un ecosistema produttivo composto da alberi, arbusti e colture annuali capace di rigenerare la fertilità del suolo. Nelle agroforeste dove operiamo ci sentiamo parte degli ecosistemi stessi. Dobbiamo tenere a mente che la natura è un sistema molto più intelligente di noi esseri umani».

Stefano Scavino, produttore dei Presìdi carciofo astigiano e peperone della Motta: «Ho un piccolo appezzamento di terra nella provincia di Asti. Opero attraverso le tecniche dell’agroecologia, e adotto un approccio biointensivo applicato agli ortaggi, il che significa ridurre al minimo gli input e la distanza tra le piante che andiamo a coltivare. In questo modo all’interno dello stesso appezzamento di terra possono coesistere tantissime varietà di ortaggi».

Ore 12: Cuoche e cuochi indigeni: sfide, identità, valore

Può un cuoco o una cuoca contribuire a migliorare il sistema alimentare utilizzando i cibi indigeni nella propria cucina? È questa la domanda che si sono posti Sean Sherman, Aruna Tirkey, Claudia Ruiz, Lizet Bautista Patzi e Wu Hsueh-Yueh, intervenuti questa mattina nell’Arena Berta Cáceres. Partendo dalle loro esperienze personali, hanno raccontato i cibi tradizionali dei popoli indigeni, spesso considerati inferiori ed etichettati nei loro Paesi come “rustici”, poveri e privi di valore.

Sean Sherman, chef Sioux di Slow Food Turtle Island, San Francisco, ha definito il cibo un linguaggio: «Mi piace mettere le storie sul piatto. Nel mio ristorante uso principalmente cibo autoctono per preservarne la memoria e il valore. Abbiamo infatti bisogno di riscoprire le nostre origini e decolonizzare i nostri alimenti»

Per questo motivo è nato il North American Traditional Indigenous Food Systems (NĀTIFS), il progetto dedicato ad affrontare le crisi economiche e sanitarie che colpiscono le comunità native americane, ristabilendo le abitudini alimentari originarie.

Si è invece concentrata sulla colonizzazione Aruna Tirkey, chef e portavoce di Ajam Emba Adivasi della Comunità Slow Food del Jharkhand. «Nel 2018 ho aperto il mio ristorante con l’intento di educare le persone attraverso il recupero dei cibi perduti delle comunità indigene indiane. In questo modo abbiamo l’enorme opportunità di riscoprire le nostre origini e il nostro valore. Non ho avuto un grande supporto iniziale, erano tutti diffidenti. Ora, invece, servo persone da tutto il mondo e insegno loro la biodiversità del nostro cibo».

Claudia Ruiz, chef e portavoce dei Ricercatori Gastronomici del Chiapas comunità Slow Food: « Hanno invaso i nostri territori implementando un’altra cultura. Oggi il nostro compito è riportare la gastronomia dei popoli indigeni al centro della tavola e far sapere che siamo parte della società e dell’equilibrio della biodiversità. Abbiamo così tante conoscenze che, se si perde un seme si perde una cultura, se si perde una pianta si perde una medicina».

Ha continuato l’attivista boliviano Lizet Bautista Patzi: «Cosa faccio nella comunità per influenzare le persone e decolonizzare la dieta? Da cuoco trasmetto il valore dei nostri prodotti attraverso la loro rivalutazione e un loro consumo alternativo. In questo modo sia giovani che anziani hanno una conoscenza da condividere».

E infine Wu Hsueh-Yueh, esperto di piante selvatiche e Indigenous People Chefs Alliance: «Per la mia gente le erbe selvatiche sono legate alla vita quotidiana. A Taiwan siamo la prima organizzazione a concentrarsi sulle tradizioni indigene e l’anno scorso abbiamo formato anche un’alleanza di chef. Sono convinto che promuovere il risparmio dei semi e la conservazione della conoscenza sia la missione della mia vita».

Ore 11:00 – Non c’è alternativa all’agroecologia.


Ecco alcune delle testimonianze che abbiamo raccolto.

Leidy Casimiro, Cuba, contadina, membro del consiglio nazionale di Slow Food a Cuba, dottore di ricerca in agroecologia
«Sono una contadina e lavoro con la mia famiglia. Qui a Terra Madre con me c’è anche mio fratello. Abbiamo realizzato il sogno di avere una azienda agroecolocica e naturale. Produciamo tutto il cibo per tutta la nostra famiglia e riusciamo anche a commercializzarlo nel nostro paese. Abbiamo raggiunto la piena sovranità alimentare. E anche quella energetica, riusciamo ad alimentare le macchine che utilizziamo con l’energia solare. Siamo promotori della permacultura a Cuba e in tutti i Caraibi, siamo una fattoria didattica e collaboriamo con 10 università di Cuba e altri Paesi. Tre membri della mia famiglia partecipano per il programma della sovranità alimentare della Fao a Cuba. E ora stiamo partecipando alla scrittura di una legge sulla agroecologia a Cuba. Esistono delle politiche pubbliche che appoggiano l’agricoltura familiare, ma spesso queste politiche pubbliche le favoriscono con un approccio inappropriato che porta semplicemente alla sussistenza. Quindi è necessario che le politiche pubbliche farvoriscano le pratiche agroecologiche e che difendano le famiglie contadine dalle politiche di dumping che stanno mettendo in difficoltà gli agricoltori».

Breen Randal, Australia, agricoltore agroecologico e rigenerativo
«Siamo tutti coinvolti nell’agroecologia. Quando siamo arrivati nella nostra attuale terra nove anni fa il suolo era tremendamente impoverito. Stiamo lavorando per recuperare la fertilità del suolo con un sistema agroecologico integrato e un sistema multispecie. Ci sono le piante e diverse specie di animali, una relazione tra natura, terra, animali e uomini. Siamo liberi da sostanze chimiche e stiamo cercando di trovare i modi per nutrire il suolo, e gli animali ci aiutano tantissimo. La relazione tra il nostro cibo e le persone che nutriamo è importantissima. Quindi abbiamo avviato l’agricoltura supportata dalle comunità: le comunità ci aiutano e sostengono e noi in cambio diamo i nostri prodotti. Una volta gli agricoltori avevano una vita di esperienze, noi abbiamo solo otto anni… quindi una delle sfide principali è cambiare lo spazio tra lo spazio tra i nostri pensieri. Dobbiamo renderci conto che siamo parte della natura e non i capi della natura, quando ci vediamo come una parte della natura, che dobbiamo essere parte della natura e della comunità allora diventiamo pazienti e attenti e buoni osservatori e guardiamo il sistema naturale che per ognuno di noi è diverso. Quindi non c’è una regola che vale per tutti, devono essere regole diverse per ciascuno. Noi abbiamo 4 sistemi cerchiamo che sia tutto buono per gli animali (1), buono per la terra (2), buono per gli agricoltori (3) e buono per le persone a cui diamo il cibo (4). Questo è il nostro principio guida, questi principi in questo ordine».

Cristiana Peano, Dipartimento di Scienze Agrarie, forestali e alimentari dell’Università di Torino
«Agroecologia è innovazione sociale, con queste comunità di supporto agli agricoltori è un modo per riallacciare un rapporto diverso con la natura, con gli agro-sistemi, e permette di comprendere meglio quello che mangiamo, e questo è tutto collegato con la nostra salute con quella del pianeta. Sono dinamiche che mettono in circolo tutti i temi che dovrebbero esserci chiari per migliorare la nostra vita e quella del pianeta. In questo contesto è importante che si inserisca una dinamica di ricerca, di sperimentazione, di mettere in rete questi studi e osservazioni alla luce di quello che aggiunge la conoscenza scientifica.

Dario Fornara, direttore della ricerca di EROC (European Regenerative Organic Center), nato a Parma dalla collaborazione tra Davines Group e il Rodale Institute in USA
«Davines nasce nel 1883 a parma, una azienda familiare oggi diventata internazionale presente in 90 paesi del mondo, che ambisce a mettere insieme redditi ma anche valore per il benessere delle persone e del pianeta. Volevamo creare in Italia e in Europa il primo centro per l’agricoltura biologica e rigenerativa e aumentare la quantità di terreni coltivati in Italia secondo questi princìpi: riduzione al minimo dell’impatto del suolo, rotazione delle culture, copertura del terreno durante l’inverno, limitare o evitare del tutto i fitosanitari, diserbanti, pesticidi sintetici, in modo che il sistema diventi più resiliente perché si crea sostanza organica sulla superficie del terreno, il terreno migliora, aumenta il sequestro del carbonio, aumenta la biodiversità. Non è solo l’idea di produrre qualcosa di biologico, ma di preservare un sistema ricco di biodiversità e sostenibile nel lungo tempo».

Luis Barraud, esperto in agricoltura e transizione alimentare.
«La mia storia con l’agroecologia è iniziata a Terra Madre Giovani nel 2015. Da allora, lavoro insieme alla rete si sviluppo dell’agroecologia in Francia che è cresciuta negli anni. Il mio compito è proprio quello di portare al grande pubblico del movimento agroecologico».

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