Leggiamo e sentiamo parlare di sostenibilità da tutte le parti. Sui giornali, sui programmi dei partiti, sui siti web e sulle brochure di aziende che producono auto, pentole, materassi e qualsiasi altra cosa vi venga in mente.
La sostenibilità è il principio guida – o almeno lo è a parole – di questo scorcio di nuovo millennio. Una sorta di mantra, o anzi un ritornello scaramantico, che ci accompagna dal mattino alla sera. Eppure l’impatto dell’uomo sul pianeta produce conseguenze che sono sempre più drammatiche.
Riguardo alla diversità c’è anche un paradosso: siamo ignoranti, nel senso che finora siamo stati capaci di dare un nome soltanto a una parte della diversità esistente. Alcuni sostengono che, in campo animale, abbiamo battezzato soltanto un terzo di tutte le specie esistenti. Ciò significa che stiamo distruggendo un patrimonio che per due terzi non abbiamo ancora nemmeno conosciuto.
Telmo Pievani
Ma che cosa significa vivere in modo sostenibile? L’abbiamo domandato a Telmo Pievani, professore ordinario presso il Dipartimento di Biologia dell’Università degli studi di Padova, dove insegna Filosofia delle scienze biologiche e Bioetica e divulgazione naturalistica. Spiega il professore: «Il termine sostenibilià è nato nel dibattito a proposito delle foreste e, prima ancora di fare ingresso nel linguaggio comune col significato dell’impatto dell’uomo, significava intervenire sulla foresta, tagliando alberi e piante, consentendole però di rigenerarsi». E continua: «Stava a significare, insomma, un intervento compatibile con le possibilità naturali di rigenerazione».
Oggi il termine sostenibilità ha assunto un significato più ampio. Che cosa rimane uguale?
Sostenibilità e rigenerazione sono due concetti che avanzano di pari passo. Dall’ambito della gestione delle foreste, il concetto di sostenibilità è passato al mondo della pesca. Come fare per far sì che i pesci si possano rigenerare liberamente? Con uno slittamento semantico interessante, oggi il significato di sostenibilità si è generalizzato. Ma il concetto di rigenerazione resta centrale quando si parla di sostenibilità.
Telmo Pievani a Terra Madre, in un dialogo con Cristiano Godano – 22 settembre, ore 21:00 – Arena Gino Strada
Il clima scuote la tua anima? Telmo Pievani, filosofo, professore, scrittore ed evoluzionista dialoga con Cristiano Godano, anima e voce dei Marlene Kuntz.
L’appuntamento è gratuito, ma è necessario registrarsi.
Abbiamo incontrato Telmo Pievani a Verbania, in una pausa dalle prove di Botanica, lo show musicale con cui il collettivo Deproducers gira per palchi e teatri italiani per raccontare il mondo delle piante e di cui Pievani è frontman e voce narrante.
A un certo punto dello spettacolo vengono presentati alcuni dati utili a comprendere il mondo delle piante e la perdita di biodiversità degli ultimi anni. Ad esempio, ogni giorno mille specie vegetali si estinguono: che tipo di evoluzione c’è in tutto questo?
Questa è una involuzione drammatica che fa parte di uno scenario terribile confermato da tutti i dati scientifici: la sesta estinzione di massa. Ci accorgiamo soprattutto della biodiversità animale, perché siamo animali-centrici e quindi ci affezioniamo di più ai nostri simili, ma non è meno drammatica la scomparsa delle piante. Pensate che, nelle acque dolci, la perdita di biodiversità (cioè alghe e animali) nell’ultimo mezzo secolo si aggira all’80%. Significa che, negli ultimi 50 anni, abbiamo fatto fuori circa 8 esseri viventi su 10 di quelli che c’erano in fiumi e laghi nei primi anni Settanta. Una cosa vergognosa, pazzesca. A livello evolutivo, è qualcosa che non è mai successo nella storia, nemmeno al tempo dell’impatto degli asteroidi, o con le eruzioni vulcaniche: siamo ben oltre qualsiasi capacità rigenerativa della natura.

Questa diversità, come si fa a capirla e a divulgarla?
Ci sono tanti modi per misurare la diversità: esiste quella genetica, quella a livello di specie, quella di tutte quante le specie che insieme contribuiscono a mantenere in equilibrio un ecosistema. E poi c’è la diversità bioculturale. Se vuoi proteggere quella biologica, occorre conservare quella culturale di cui spesso, in ogni angolo del mondo, si occupano i popoli nativi che quella biodiversità la conoscono da sempre. Non è un caso che dove c’è tanta diversità biologica, cioè di piante e animali, c’è anche tanta diversità culturale, cioè ad esempio la diversità dei cibi, delle tradizioni culinarie. L’Italia è un caso perfetto: è il paese con la maggior diversità biologica in Europa e conserva molta diversità culturale.
Nelle acque dolci, la perdita di biodiversità (cioè alghe e animali) nell’ultimo mezzo secolo si aggira all’80%. Significa che, negli ultimi 50 anni, abbiamo fatto fuori circa 8 esseri viventi su 10 di quelli che c’erano in fiumi e laghi nei primi anni Settanta. Una cosa vergognosa, pazzesca. A livello evolutivo, è qualcosa che non è mai successo nella storia, nemmeno al tempo dell’impatto degli asteroidi, o con le eruzioni vulcaniche: siamo ben oltre qualsiasi capacità rigenerativa della natura.
Telmo Pievani
Ma riguardo alla diversità c’è anche un paradosso: siamo ignoranti, nel senso che finora siamo stati capaci di dare un nome soltanto a una parte della diversità esistente. Alcuni sostengono che, in campo animale, abbiamo battezzato soltanto un terzo di tutte le specie esistenti. Ciò significa che stiamo distruggendo un patrimonio che per due terzi non abbiamo ancora nemmeno conosciuto: un delitto ulteriore, perché non lo conosceremo mai.
di Marco Gritti, info.eventi@slowfood.it