Vite, sogni e progetti di chi ha dovuto lasciare il paese ma non smette di credere nel valore della libertà e del lavoro
La delegazione è composta da una decina di persone: tre docenti universitari e cinque donne e uomini che hanno trovato rifugio in Germania. Racconteranno i progetti che stanno portando avanti in ambito agricolo e accademico.
Tra gli oltre tremila delegati attesi a Torino per Terra Madre Salone del Gusto, l’evento mondiale dedicato al cibo buono, pulito e giusto e alle politiche alimentari in programma a Torino tra il 22 e il 26 settembre, ci sono anche una decina di persone di origine afgana. La delegazione è guidata dal professor Abdullah Faiz, già docente di agraria e rettore dell’Università di Herat fino all’agosto del 2021, da alcuni mesi stabilitosi a Bra, dove collabora con Slow Food. Prima che i talebani riprendessero il controllo dell’Afghanistan, generando lo scompiglio e provocando la fuga di decine di migliaia di persone, Faiz era a capo dell’università della terza città del paese per numero di abitanti dove studiavano 22 mila persone, elemento che la poneva come la seconda più grande dell’Afghanistan. Particolarmente significativo il dato riguardante la popolazione studentesca femminile: negli anni dell’amministrazione di Faiz, quasi la metà degli iscritti (il 48%) erano donne.
Il legame tra Slow Food e Faiz, oggi formalizzato anche in un vero e proprio rapporto di lavoro, è di lunga data e risale al 2004, anno della prima edizione di Terra Madre: in quell’occasione, il professore fu uno dei cinquemila delegati ospitati a Torino. Negli anni, la collaborazione è andata ulteriormente stringendosi: come membro attivo della rete ha sviluppato progetti finalizzati alla promozione dell’agricoltura buona, pulita e giusta in Afghanistan ed è referente del Presidio Slow Food dell’uvetta abjosh di Herat.
Docenti, accademici e giovani costretti a costruirsi un futuro lontano da casa: la delegazione afgana a Terra Madre
Insieme al professor Faiz, a Torino sono presenti altri due accademici: Ghulam Rasoul Samadi e Mohammad Yousof Jami. Samadi, 62 anni, è professore di Orticoltura all’università di Kabul e vanta trentacinque anni di esperienza in ambito orticolo e agricolo, essendosi occupato di consulenza, insegnamento e ricerca in collaborazione con università e donor internazionali. Consulente per l’orticoltura del ministero dell’Agricoltura, dell’Irrigazione e dell’Allevamento per sei anni fino all’agosto del 2021, ha anche guidato il gruppo che ha messo a punto la Politica e la Strategia nazionale per l’orticoltura in Afghanistan. Membro attivo della rete Slow Food, per anni ha seguito da vicino le vicende che riguardano il fico giallo secco di Shah Wali Kot, prodotto incluso sull’Arca del Gusto di Slow Food. A Terra Madre Salone del Gusto 2022, il professor Samadi interviene per parlare di sicurezza alimentare in Afghanistan, un paese dove circa 19 milioni di persone (quasi la metà della popolazione complessiva) non sono al sicuro dal punto di vista della nutrizione e più di 6 milioni e mezzo di abitanti sono sull’orlo della carestia.
Mohammad Yousof Jami, 50 anni, professore associato al dipartimento di Agraria della facoltà di Agricoltura dell’università di Herat, nel corso degli ultimi venticinque anni si è occupato di istruzione e ricerca in campo agricolo, della formazione di personale specializzato, della promozione di nuovi metodi agricoli, dirigendo il dipartimento di Agraria e collaborando strettamente con università straniere (tra cui, in Italia, quelle di Padova e Sassari) e con l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (USAID). Jami, che in qualità di docente di Agricoltura si è occupato anche dell’uvetta abjosh di Herat, Presidio Slow Food, ha già preso parte a tre edizioni di Terra Madre, nel 2006, nel 2008 e nel 2018.
Terra Madre Salone del Gusto 2022 ospita anche una rappresentanza della diaspora afgana, cioè quelle donne e quegli uomini che sono stati costretti a lasciare il proprio paese per provare a costruirsi altrove un futuro migliore. A Torino, così, arrivano cinque persone che oggi vivono in Germania: tra loro c’è Bibi Farahnaz, ostetrica di 29 anni riuscita a fuggire all’indomani del ritorno dei talebani a Kabul, nell’agosto del 2021. Il suo racconto riporta alla mente le immagini televisive girate all’aeroporto della capitale afgana, tra gli spari dei talebani e gli strazianti addii dei famigliari: lei, che in Afghanistan ha lasciato la madre, il padre e una sorella e che a distanza di un anno non sa se e quando potrà riabbracciarli, oggi sta cercando di «iniziare una nuova vita, come una neonata». Ma non dimentica il proprio paese d’origine: a Terra Madre 2022 racconta il suo Afghanistan nel corso di una presentazione che intreccia i temi della salvaguardia della diversità alimentare e quello della salute.
La Germania, oggi, accomuna le vicende di tante storie di vita differenti: come quella della trentenne Noshin Parsa Hashimzada, psicologa e insegnante con una laurea a Herat e che ora, nel cuore dell’Europa, frequenta il corso di laurea magistrale. A Terra Madre parla del ruolo delle donne nello sviluppo dell’agricoltura in Afghanistan, paese dal quale è dovuta andar via dopo aver servito anche come assessore nel dipartimento per la salute mentale del ministero della Sanità.
Ramin Nabizadah, quarant’anni, oggi vive ad Amburgo e lavora come mediatore culturale, aiutando persone che, come lui stesso ha dovuto fare, hanno lasciato l’Afghanistan per reinventarsi una vita altrove. A Torino arrivano anche Ghulam Mahboob Osmani, che oggi vive tra Stoccarda e Monaco di Baviera, dopo essersi speso per anni in Afghanistan nell’insegnamento rivolto alle fasce più povere della popolazione, e Nasar Ahmad, 42enne, fuggito nel 2016 insieme ai quattro figli: la loro storia assomiglia a quelle di migliaia di altre persone, vite disperate e disposte a rischiare di morire pur di sfuggire alla propria condizione di sofferenza. Un barcone, la traversata del mar Nero nel cuore della notte, l’approdo a Lesbo, il campo profughi di Moria.